Cosa vuol dire Ottimismo?
Che effetto ha su di noi l’ottimismo? O meglio un sano ottimismo?
Quando in psicologia si parla di ottimismo, si fa riferimento ad un peculiare modo di guardare alla realtà e al proprio futuro, a come le persone si spiegano ciò che accade loro.
Seligmann ha individuato proprio nel modo in cui le persone guardano agli eventi (sopratutto problematici) e come li spiegano, il quid che distingue il pessimista dall’ottimista: il primo tende a leggere in un fallimento un evento stabile e duraturo nel tempo, attribuendone la responsabilità a caratteristiche sue che vive come quasi immutabili; mentre i successi sono eventi fortuiti su cui non ha controllo. Di contro, l’ottimista legge nel fallimento un effetto passeggero di un evento esterno e incidentale, mentre i successi sono attribuiti a proprie caratteristiche; sente di avere più possibilità, di poter intervenire concretamente e si sente maggiormente in grado di affrontare gli eventi negativi.
L’effetto più evidente di una prospettiva ottimista, dunque, è l’auto-efficacia: sentire di saper fare, di avere il merito dei propri risultati e di poter affrontare in modo costruttivo le avversità. Questa predisposizione permette di assaporare le cose belle della vita, vivere emozioni positive e mette nelle migliori condizioni per far fronte alle difficoltà; l’ottica ottimista trasmette speranza per il futuro, ci fa sentire che il domani è una scommessa che si possiamo vincere, aiutandoci a perseguire degli scopi e i nostri obiettivi.
Non solo l’ottimismo fa vivere meglio il momento, ma ci mette in condizione di sperimentare più facilmente le stesse emozioni positive, innestando un circolo virtuoso di auto-efficacia e soddisfazione, sfide e situazioni negative che si possono fronteggiare trovando più alternative, ma anche resistendo meglio.
È però importante sottolineare, che si sta parlando di un ottimismo sano, che sa guardare in modo realistico a quanto ci accede, che crede nelle proprie capacità, ma non le sopravvaluta, scegliendo le sfide che può affrontare proficuamente.
Sebbene l’esperienza ci insegni che vi sono persone più o meno ottimiste, le ricerche hanno messo alla luce che è possibile imparare a cambiare prospettiva riuscendo, concretamente, ad affrontare ottimisticamente la vita.
Come fare?
Esistono Training e corsi ma tutti sottolineato l’importanza di conoscere se stessi, i propri bisogni, emozioni, come leggiamo gli eventi e, poi, lavorare e allenarsi, attraverso diversi step, apprendendo un nostro nuovo e personale modo di leggere il mondo.
il buon umore
Lunedì con Legein, presso la Sala del tè Teatro Noh, faremo un incontro sul tema del benessere, dello stare bene.
Così mi sono lasciata prendere un po’ dall’atmosfera, mentre rileggevo degli appunti e vi volevo chiedere: come vi sentite quando siete di buon umore? Cosa provate? Che vi viene voglia di fare?
Come ripeto sempre ai corsi e agli incontri che faccio, le emozioni sono una straordinaria cartina tornasole dei nostri bisogni e dei nostri scopi: cosa ci sta dicendo il nostro essere, se siamo di buon umore?
Il buon umore ci carica di energia e voglia di fare, non per niente le persone felici sono spesso immaginate non solo sorridenti, ma che saltano, che esultano …
E la nostra mente? Il nostro cuore? Non è forse tutto più bello quando siamo frizzanti ed energetici? Non sembra possibile affrontare le sfide che ci troviamo davanti?
Inoltre, si è pure visto che il pensiero positivo predispone ad affrontare più efficacemente quanto ci accade, di normale o eccezionale, ci rende più facile trovare soluzioni, ci predispone anche ad imparare cose nuove.
Alcuni dicono: beh sì, ma è questione di carattere! Io sono un pessimista cosmico e cronico, non riesco ad illudermi come questi che sono ottimisti!
In un certo senso, un qualche cosa in questa frase c’è: effettivamente si è visto che una percentuale di temperamento nell’essere felici oppure ottimisti, c’è. Alcune persone hanno più facilità a sentire e ricercare questi stati rispetto ad altri, ma la cosa che si è visto, è anche che tutti possiamo imparare ad essere di buon umore, a costruire quello che ci piace!
Anche imparando da chi il buon umore lo fa così bene!
Un proverbio tibetano dice: se sei infelice, è tutta colpa tua; ma altrettanto vero è che, se sono felice è merito io, io posso lavorare alla mia felicità e posso trovare il modo concreto per diventare più contenta o contento e più soddisfatta/o.
Per il come… beh vi aspetto lunedì 6 alle 20.30 al Teatro Noh!
Ben-Essere alla Sala del Té
Le persone hanno sempre cercato la via per la felicità ed il modo per stare bene; purtroppo non è sempre facile raggiungere e coltivare queste dimensioni; talvolta non è nemmeno chiaro cosa per noi sia, la felicità, e cosa noi possiamo fare per conquistarla.
Un proverbio tibetano recita: se sei infelice è tutta colpa tua; con questa serata vorremmo avviare una riflessione su cosa ci fa stare bene e quali desideri covano in noi; su come, invece, costruiamo delle gabbie che ci fanno soffrire e su come possiamo avviare e proseguire una nuova esperienza di benessere.
L’incontro si svolgerà alla Sala del Té Teatro Noh, Lunedì 6 luglio alle ore 20.30, dove davanti ad una tazza profumata, daremo spazio alla riflessione e ci confronteremo su un tema che accompagna l’uomo dagli albori.
Homo Narrans
Oggi volevo spendere alcune righe su una riflessione teorica, sperando di non tediarvi troppo.
Le persone spesso danno per scontata la propria realtà: si crede, ed è anche utile a volte, che il mondo sia proprio come lo vediamo, che la realtà sia quella e basta. Poi capita che ci troviamo davanti a culture che ci riportano scenari completamente diversi e il mondo si sgretola. Si può allora, diventare consapevoli di come l’osservatore stesso costruisca, almeno in parte, la propria realtà, con gli strumenti che ha a disposizione: biologia, fisica dell’essere umano, ma anche la sua cultura, i suoi schemi, pensieri, interpretazioni, i suoi desideri, le delusioni, i sentimenti, le aspettative sul mondo e gli altri… s’intesse, così, una rete che ci permette di raccogliere pezzi di mondo, organizzarli e dare loro un significato.
Questo processo avviene anche attraverso le narrazioni, le storie… le favole stesse che ci raccontiamo per intrattenerci (da bambini e da grandi) trasmettono strumenti, valori, opinioni, anticipazioni, dover essere … per operare nel mondo. Per usare una metafora di Fischer (cit. Poggio 2004 ) noi siamo Homo Narrans: viviamo di storie e racconti, che ci fanno crescere e ci permettono di organizzare l’esperienza, di conoscere e di conoscerci. Bruner, un grande psicologo, parla di istinto narrativo che ha portato l’umanità a scambiarsi, nei secoli, storie come linfa vitale al pari del cibo.
La nostra stessa identità, quello che io sono, assume una forma, indefinita, attraverso le storie: abbiamo in noi mille personaggi, stati di essere con loro emozioni, rappresentazioni reazioni; che vivono in diversi momenti, in relazione a diverse persone. Quando narriamo e storicizziamo creiamo una rappresentazione di noi stessi integrata, un personaggio che si muove nel tempo e si sente, mettendo insieme la nostra consapevolezza e auto-rappresentazione in un intreccio di pensieri ed emozioni.
La storia della nostra identità ci aiuta ad integrare ed elaborare quello che sappiamo su di noi, a raccogliere la nostra autobiografia, dare un senso a quello che siamo stati, a quello che siamo ora e a quello che saremo: alla luce del racconto che stiamo vivendo in interazione con gli altri, intrecciando le nostre storie alle loro, diventiamo noi stessi.
La montagna dell’Amore di Foyrdace
Qualche tempo fa ho parlato dei fattori che ci permettono di coltivare il nostro benessere. Fordyce, nel descrivere come diventare persone felici, spiega che i rapporti intimi possono essere un’importante fonte di benessere (o malessere). Aspetto tanto ovvio quanto davvero importante.
Ma quali sono i fattori che consentono ad una coppia di avere successo e permettono ai partner di essere felici?
Alcuni elementi che andremo a ricordare appaiono scontati, ma sono tutti elementi confermati dalle ricerche, inoltre, spesso sapere cosa ci farebbe stare bene, non vuol dire riuscire davvero ad ottenerlo; in fondo tra il dire e il fare …
Osservando persone felici in coppia, cosa possiamo vedere?
Innanzitutto sono individui che stanno bene come singoli, che sanno riconoscere i propri bisogni, soddisfarli da sé, sono autosufficienti e si sentono auto-realizzati: il partner non è un surrogato o una stampella di una qualche necessità.
Come potrebbe essere una relazione improntata su delle necessità? Come ci sentiremmo se l’altro fosse l’unica nostra soluzione al mondo per un bisogno importante? E viceversa, se sapessimo che l’altro crollerebbe senza di noi ? In entrambi i casi, ci sentiremmo liberi di muoverci ? Chi potrebbe, sempre, in ogni momento, rispondere perfettamente alle necessità di qualcun altro?
Partendo da una o più perone sane, quali fattori permettono di coltivare una buona relazione romantica?
Foyrdace ne individua 12, dei passaggi che ordina nella “montagna dell’amore”.
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Socievolezza e contatti: altrimenti come potremmo incontrare persone e La Persona?
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Attrazione: la scintilla che fa scattare la voglia di stare vicini, conoscersi meglio. Può partire dal fisico o dal mentale, ma poi entrambi gli ingredienti devono far parte della “pozione magica”
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Somiglianza: attitudini, valori, stile di vita affini e compatibili che permettano di costruire un progetto di coppia. Sono nelle coppie infelici, gli opposti si attraggono, ma per compensare a reciproche mancanze.
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Compatibilità: sentirsi in armonia, confrontarsi condividere.
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Comunicazione: è l’essenza della relazione. Poter parlare serenamente, condividere, aprirsi, accogliersi reciprocamente.
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Onestà: rimanda anche all’essere ed esprimere se stessi.
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Capirsi:elemento decisivo e connesso alla comunicazione e onestà. Comprendere chi si ha davanti e sentirsi capiti. Quali emozioni nascono in noi, se il nostro partner ci capisce? Ammettiamo anche che non condivida, ma sappiamo che comprende quello che sentiamo e stiamo dicendo? Viceversa, come ci sentiamo se capiamo l’altro?
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Accettazione
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Rispetto. Sentire che l’altro ci rispetta e sentire che noi rispettiamo l’altro, al di là di tutto, al di là degli inevitabili screzi. Cosa vuol dire il rispetto in una coppia?
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Fiducia: la più difficile da costruire, la più facile da distruggere.
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Crescita: un rapporto sano, di accettazione, fiducia e rispetto consente all’individuo di crescere, relazionandosi con persone sane, come persona saae. Sicrea uno spazio evolutivo dove gli individui possono aiutarsi reciprocamente nel coltivare se stessi come singoli e nella coppia.
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Amore: è la cima della montagna che si fonda sulle undici fasi precedenti. Può esistere in modo a se stante, ma allora è come trovarsi senza le fondamenta.
Cosa facciamo, che ci aiuta a comunicare?
Cosa vuol dire comunicare?
Quali sono le caratteristiche di una comunicazione?
Ci sono molte teorie sulla comunicazione, ognuna ne coglie un’aspettato e ci permette di riflettere.
A me piace molto l’etimologia del termine: “communis” ossia mettere in comune, condividere pensieri, emozioni, informazioni…
Noi, in particolare, ci fermeremo su un tipo particolare di comunicazione tra persone: c’è qualcuno che invia un messaggio ad un’altra persona, attraverso uno strumento (ad esempio la parola) con un canale ( aria, telefono, ambiente …). Durante questo processo, possono succedere molte cose che riducono l’efficacia della comunicazione, più o meno oggettive. Purtroppo non è questa la sede per analizzarle tutte, ma c’è un elemento che a mio avviso è particolarmente importante: parliamo sempre di significati, di prospettive e comunicando è molto più importante la valutazione soggettiva, le prospettive, gli strumenti di lettura della realtà, che il contenuto stesso del messaggio.
L’osservazione che non è il contenuto puro da noi trasmesso ad arrivare all’altro, ma che questo viene modificato da come l’interlocutore pensa,a scolta, da cosa crede, dalle emozioni che prova in quel momento, ci permette di comprendere come mai, il messaggio che inviamo, arriva sempre modificato ( principio di comunicazione di Bennis).
Cosa possiamo fare per ridurre il più possibile la discrepanza tra quello che vorremmo trasmettere all’altro e quello che lui/lei comprendono? Ci sono alcune semplici strategie che tutti siamo già in grado di usare e che, adottate consapevolmente, ci possono aiutare.
- Avere presente chi abbiamo davanti: bambino? Adulto? Testardo? Flessibile? Esperto?
- Qual’è il nostro obiettivo? Cosa volgiamo fare? Trasmettere informazioni? O anche qualcos’altro?
- Quale linguaggio stiamo usando e quale è meglio usare?
- Feedback: che effetti sta avendo la mia comunicazione? Come mi sta guardando? Che reazioni ha la persona? Posso anche chiedere esplicitamente: tutto ok? È chiaro? Come va?
- Riformulare e riprendere quanto detto dall’altro: la persona si sente, solitamente, ascoltata; possiamo verificare se noi abbiamo compreso quello che ci voleva dire. Intendevi dire che…?
Cosa rende, invece, inefficace una comunicazione?
- Irrigidirsi su alcuni modi di vedere e di pensare: si è sempre fatto così, solo così è giusto, c’è un solo modo di vedere e fare le cose… (da entrambi i lati della comunicazione)
- Attribuire solo agli altri la responsabilità: con lui/lei non c’è nulla da fare. La comunicazione è sempre un gioco a due!
- Quando i pregiudizi operano sotto la soglia della consapevolezza. Le donne non comprendono nulla di motori…
- Quando agiamo secondo regole implicite disfunzionali: tutti dovrebbero sempre capire; dev’essere per forza così… qualsiasi momento in cui ci diciamo è terribile, è insopportabile , devo/devono o non devono/non devo…
Per oggi solo alcuni spunti, ma prossimamente torneremo a parlare di comunicazione.
A voi, quali aspetti della comunicazione potrebbero interessare?
Preoccuparsi
non sono le cose in sè ….
Oggi ho ripreso in mano il libro “ I cento punti chiave della psicoterapia cognitiva”, testo che presi circa tre anni fa prima di iniziare la scuola di specializzazione.
Il primo punto non è solo uno dei più interessanti, ma anche il pilastro di quella che è la psicologia e psicoterapia cognitiva:
“ Non sono gli eventi in sé a determinare le nostre emozioni, ma i significati che noi associamo a questi eventi”
Che è un po’ una specifica del più generico: non soffriamo per le cose in sé, ma per l’opinione che abbiamo delle cose, massima che risale al vecchio Epitteto. Nulla di nuovo sotto il sole, potrebbe dire qualcuno.
Cosa vuol dire questo?
Molto semplicemente che la realtà non esiste così com’è, ma siamo noi, che attivamente, la interpretiamo e in qualche modo la costruiamo.
È ben diverso se una donna si vive e racconta come una single per scelta, che attivamente si muove nella vita sociale, contenta della sua condizione; oppure se parla di sé come una vecchia zitella, sola e abbandonata da tutti.
Si parla sempre della stessa donna, senza partner, ma quali possono essere i miei sentimenti, se mi dico: vivo isolata, nessuno mi vuole, non ho figli, morrò in solitudine, nessuno si ricorderà mai di me, rientro in casa e trovo tutto buio e desolato?
Se invece mi dico: sono libera, non ho nessuno cui rendere conto, quando torno a casa, finalmente ho un po’ di calma e serenità, non ho costrizioni, come mi sentirò?
Sono due concezioni soggettive della realtà che trasmettono sentimenti, vissuti, significati ben diversi, che ci portano a sentirci in modi ben diversi, a compratrici in modi ben diversi …
Cosa accadrebbe se la zitella iniziasse a vedere se stessa come una donna libera e con mille possibilità davanti, invece che una persona che ha perso tutte le occasioni della sua vita e ne esce perdente?
Chiaramente non vuol dire, come ricorda anche il libro citato, che il mondo là fuori non abbia alcun impatto, che le avversità non esistano; ma significa che vi sono pensieri, occhiali se vogliamo, che non ci aiutano a fronteggiare un problema.
Se qualcosa ci sembra insormontabile, cosa ci sentiamo spinti a fare? Forse non molto, o comunque con tanta difficoltà.
Se, invece, qualcosa ci sembra difficile, ma è anche una sfida interessante e appassionante? Potremmo essere intimoriti, ma non ha quel sapore di sfida e non ci viene voglia di attivarci?
Vi sono modi di vedere e pensare che ci sono più utili di altri e che ci permettono di stare meglio anche nelle situazioni difficili.
La cosa importante è che possiamo essere sviluppare prospettive diverse e punti di vista più proficui, perché c’è sempre più di un modo per vedere la realtà.
Attenzione, però, questo non significa cambiare a caso pensieri e fare dello spicciolo Think Pink, non voglio invitarvi a diventare delle sconsiderate Pollyanna all’ennesima potenza!
Significa trovare in noi quei nostri pensieri, quelle nostre prospettive, quei nostri modi di vedere che sono più proficui, oppure mettere davvero in discussione quanto stiamo pensando che non ci è utile e trovare (con le nostre forze e quando non bastano con l’aiuto di un professionista) una nostra personale e più fruttuosa nuova prospettiva.
Corsa ad ostacoli verso l’Assertività.
Quante volte ci capita di rispondere sì ad una richiesta che ci pesa?
Quante altre ci accorgiamo di essere stati ingiustamente aggressivi?
Questi sono esempi di due comportamenti estremi (passività e aggressività), maper fortuna non sono le uniche scelte a nostra disposizione: noi possiamo anche far valere i nostri diritti senza prevaricare quelli degli altri. Sto parlando dell’Assertività (spesso confusa con l’imparare ad imporsi), ossia: conoscere se stessi, i nostri desideri, comprendere le emozioni (nostre e altrui) e rispettare tutte le persone.
Assertività significa parità tra gli individui, coltivare doti e interessi, difenderci senza ansia (ho il diritto di difendermi, di dire no), esprimere con facilità ed onestà quel che provo, esercitare e rispettare i diritti di tutti.
Non è facile però, diventare assertivi.
Cosa ci impedisce di fare quanto sopra descritto? Che probabilmente per l’ennesima volta sembra un po’ la scoperta dell’acqua calda? (quanto ne sapremmo, di cose che ci farebbero stare bene e quanto poco le attuiamo?).
Spesso le persone percepiscono assertività come uno stile aggressivo che non le si adatta e che, magari, rischia di allontanare i nostri cari: se dico al mio compagno che non sopporto che mi risponda male quando è stanco, magari si offende e ci resta male, magari non m vuole più bene come prima, magari …
Altre volte abbiamo la sensazione che l’aggressività sia l’unica via per far valere i nostri diritti, anche calpestando gli altri: nel breve termine potremmo ottenere quello che vogliamo, ma se distruggiamo sempre gli altri, questi come si sentiranno? Quanto a lungo ci sopporteranno?
C’è anche da dire che alle volte, la buona educazione, sopratutto per le donne, ci spinge un po’ alla passività: la gentilezza diventa un non saper dire di no, nemmeno quando servirebbe.
Non è neppure così facile ammettere che ho dei diritti, che posso dire no. Se sono stanca e sovraccarica di impegni, anche se la mia migliore amica mi chiede di uscire e sono due settimane che non la vedo, posso rimandare, ma quanti di noi riescono davvero? E senza sentirsi in colpa?
E le conseguenze? Alle volte sapremmo benissimo che dovremmo dire di no, che ne abbiamo il diritto, ma temiamo come l’altro potrebbe reagire. Ma davvero, un’amica, che ci vuole bene, potrebbe toglierci la parola per sempre, se le dicessimo: mi spiace davvero tanto, avrei piacere ad uscire con te, ma sono davvero troppo stanca, che ne dici se prendiamo un aperitivo dopodomani?
Infine ci sono persone che sanno riconoscere i propri diritti, che non hanno paura di affrontare le conseguenze (reali o immaginarie) di un comportamento assertivo, che temono le reazioni dei propri cari … ma non sanno come fare…
E voi?
Siete capaci di dire no a delle richieste che sentite ingiuste nei vostri confronti? Sapere riconoscere quando siete voi, a fare richieste eccessive ? (nessuno
è sempre passivo o sempre aggressivo).